Ero Maddalena (Puntoacapo Edizioni, 2013)

Ero Maddalena (Puntoacapo Edizioni, 2013)
Dall'ascolto di una delle figure più controverse delle donne della Bibbia, nasce il poemetto "Ero Maddalena" monologo intimo e doloroso di una donna dei nostri giorni. Un lavoro di carne e sangue, di spirito e inconscio, che affronta le problematiche femminili della violenza e della fede nell'ottica della figura più vicina a Gesù, da lui stesso scelta quale compagna di viaggio per le sue missioni profetiche. Un'attualizzazione che forse mancava. Il poemetto esce con due splendide note: la prefazione di Gabriella Sica e la postfazione di Rosa Elisa Giangoia, impreziosito dall'immagine di copertina di Maurizio Caruso.

giovedì 25 giugno 2009

Selva Malzezzi - Molinella "Voci dal buio" poesie in dialetto romagnolo di
Arnaldo Morelli
presentazione di Cinzia Demi



La copertina di "Voci dal buio" è stata realizzata dal maestro Maurizio Caruso
presente alla serata con l'originale dell'opera
Si è svolta Mercoledì 17 giugno 2009 a Selva Malvezzi la presentazione del libro di Arnaldo Morelli "Voci dal buio", poesie in dialetto romagnolo, edito da Pendragon. Alla presenza di oltre cento persone, in un'atmosfera gioviale, un buon lambrusco e un complessino di chitarre e mandolino hanno sottolineato i momenti più salienti, con calici alzati in brindisi augurali e con musiche riprese dall'Orchestra Casadei e dai ritmi popolari di tradizione romagnola. Ospiti della serata Gianfranco Lauretano, Marco Antonellini e Cinzia Demi, curatrice del libro e della presentazione. Belle le poesie, bella l'ospitalità, complimenti all'autore per averci regalato questi momenti.


Dalla presentazione di Cinzia Demi:


La poetica di Arnaldo Morelli ci porta, senza dubbio, un messaggio di comunicazione trasparente. Non quella dell’ovvietà del “si dice, si fa…”, dove tutto rende superflua l’indagine e l’approfondimento, non quella frutto di una curiosità che è dovunque e in nessun luogo. Lungi dall’essere distratto, dall’essere incapace di soffermarsi lo sguardo comunicativo di questo poeta si rivolge, in prima battuta, ai gesti di vita quotidiana, al “contadino che si è svegliato/ancor prima del gallo/e va a riempire la valle/coi suoi versi./Una biada per i buoi…” , alla vita semplice da bravo ragazzo di campagna di Brev ragaz “si era croci al vento/aquiloni di stracci/però molto contenti/perché buoni ragazzi…” dei quali coglie gli emblemi e i significati che esprimono il suo senso della vita, fatto di dubbi e smarrimento, come se a guardare fosse, ancora una volta, quel “fanciullino” di pascoliana memoria.
Nel passaggio dalla vita di campagna al lavoro di città, dove si ritrova “… solo fra scontenti” fra “Gente che alla mattina sognava facesse sera…”, nel poeta c’è tutta la consapevolezza di una contraddizione della realtà sociale, di un Pasolini che non sfugge aver assimilato, in cui le trasformazioni, pur volte ai miglioramenti, portano sofferenza perché accompagnano sempre una perdita di qualcosa “Che adesso non mi bagno più i piedi nella rugiada/non mando più una vacca a pascolare/non levo più le erbacce dalle entrate/non gioco più vicino alle farfalle”. Ed è come se la solitudine improvvisamente si appropriasse degli spazi più vitali, una solitudine globale, planetaria dove l’uomo si sente “… un prigioniero legato/a una catena di montaggio” che gli fa tristemente dire “io sono prigioniero e accanto a me/c’è un ingranaggio, un ingranaggio…” e che non è la stessa che potrebbe accompagnarlo a sperimentar se stesso ma è una solitudine che, mentre le accomuna, annienta le varie identità negandogli il tramonto, ossia l’avvento verso un nuovo modello di umanità.
Del resto di umanità c’è n’è parecchia nelle poesie di Morelli, non scevre neanche da echi Ungarettiani di evocative memorie di guerra “perché cannoni contro voci e gente?/Si va veloci su questo frangente/c’è fretta di tornare a far rumore/Un minuto di silenzio sbatte il cuore/di fronte al sasso a non dimenticare” dove il sapiente gioco di semantica delle parole del frangente bellico cannoni/sassi con quelle del dolore e del sentimento voci,gente/cuore, raccontano bene anche questi momenti di esperienze vissute, passando dalle immaginabili eppur certe sofferenze.
Il poeta per fortuna si riscatta e torna a vivere nell’amore per le donne e nell’amicizia per gli uomini. Per ognuno coglie un senso d’esistenza, un particolare che distingue, un affetto che arricchisce. Così Giulia a cui “stringono i vestiti”, Mira “che dove butto gli occhi io c’è amore e poesia”, Marisa per la quale I Girasul “sono sbagliati/sono all’incontrario/Chi li gira così/ qua verso te?...”, Anna che ad “…immaginare le mani tra i tuoi capelli/che odo nella testa un suono d’orchestra”, Nanà che “Lascia la chiave nella toppa/affinché io non bussi…” assurgono tutte a figura di Beatrice dantesca come se si volesse “dire di” loro “quello che mai non si disse d’alcuna” e attraverso di loro “al lettor ben gli occhi al cielo alzare” , in una girandola di racconti, evocazioni e suggestioni del fascino della bellezza femminile, che trasportano il poeta in un vortice di passioni, la più forte delle quali è, però, quella per la madre, guarda caso Maria, alla quale egli si rivolge con un rispettoso quanto idolatrante “Voi”: “Do del voi a mia madre/Nel nostro tempo insieme/mai ha detto di farmi da parte/ Mai ha detto di darle del tu/Dalla mia parte anch’io/non mi sono mosso più di tanto/C’è rimasto un gradino/che non mi viene di salire”.
Ma anche per gli uomini c’è un filo conduttore che racconta, che regala immagini in cui tutti possono trovare volti conosciuti. Chi non ha mai sentito parlare di uno come Xilocchi che era “un uomo da poco”, “dentro ai libri la sua storia non la troverete”, “Era uno che lavorava come tanti”, “Ma del male non ha fatto di sicuro/Mai ha avvelenato un campo/o un fiume, o un pezzo di cielo..”, “era un uomo, uno che è passato/senza passare per la storia”, chi non ha mai avuto a che fare con uno come Cesarino che “Nel suo cantuccio” “creava chitarre e violini/che poi non vendeva/non hanno un valore/Diceva: Son qua/con le corde tirate/aspettano un contatto”, chi non ha mai sentito cantare uno come Primo dla Rafae’la che ha “occhi e capelli al cielo tra nubi e stelle/occhi e capelli al vento che par volare”? Insieme, questi uomini e altri, uniti in uno stesso cammino possono aprirsi all’orizzonte del possibile, per dare un senso comune alla vita, possono rincorrere anche un’utopia, che valga come direzione e non come meta, per orientarsi oltre l’esistente e verso il futuro in una progettualità, che è fonte stessa d’esistenza.
Infine uno sguardo alla lingua usata dal poeta, il dialetto romagnolo, quello dal quale era imprescindibile l’uso per realizzare, secondo la sensibilità del poeta, testi di così fatto impatto emotivo. Morelli ama le sue origini, quelle zone tra Meldola e Rocca delle Caminate nel forlivese, e usa il suo dialetto come un fiore che accarezza i pensieri, per renderli più dolci e fruibili al lettore “Però i miei pensieri son lì/in quel puntino/che appena posso in quel puntino/ci appoggio la penna/Caro dialetto come stai?/Ti scrivo per tener vivo il tuo suono”. E non c’è dubbio che non ci riesca. Così come risulta chiaro che le frequenti parole tronche di questo linguaggio, e il riproporre spesso suoni e versi di animali, producono una musicalità dal ritmo sincopato che si inserisce in una dimensione quasi da filastrocca, non sminuendo mai ma, anzi, contribuendo a dare alle immagini una connotazione romantica. Del resto Morelli è un romantico del suo tempo, un appassionato di poesia che dice di se stesso “non sarò mai capace di buttare via/nemmeno un foglio di questa mia passione”, “tra me e me attraversano il mio tempo/Non posso dopotutto liberarmene/di queste carte come fosse niente/vorrebbe dire gettare via il mio mondo”, “E tutte le volte che ci vado attorno/la pelle d’oca ho per volare/Con queste storie d’amore, e di dolore”.

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